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Quesito 1
Il personale del comparto non dirigenziale può fruire delle ferie
residue oltre il primo semestre dell’anno successivo, se la mancata
fruizione entro il termine contrattuale è dipesa da indifferibili
esigenze di servizio?
Con la norma di cui al comma 13 dell’art.45 il contratto collettivo
del comparto non dirigenziale, nel fissare il termine di riporto
delle ferie residue al primo semestre dell’anno successivo, ha
introdotto a tutela dei dipendenti una disciplina più vantaggiosa di
quella stabilita dall’art.10 del d.lgs. n.66/2003, in quanto ha
previsto la possibilità di fruire delle ferie residue entro un
periodo di minore durata rispetto a quello, stabilito in 18 mesi dal
termine dell’anno di maturazione, indicato dal d. lgs. n.66/2003.
La circostanza che la previsione contrattuale costituisce norma di
miglior favore, intervenuta successivamente al d.lgs. n.66/2003,
induce a ritenere che essa non possa essere derogata e che
l’imposizione, per esigenze di servizio, di fruire delle ferie oltre
il termine stabilito dall’art.45, comma 13 potrebbe configurare
un’ipotesi di inadempimento contrattuale.
Quesito 2
Il dipendente che possedeva i requisiti pensionistici
antecedentemente al 1 gennaio 2016, può revocare la domanda di
collocamento in quiescenza presentata ai sensi della l.r. n.9/2015,
come modificato dall’art.1 della l.r. 12/2015?
Le condizioni e i termini per l’esercizio del diritto di revoca
delle dimissioni presentate ai sensi e per gli effetti dell’art.52,
commi 3 e 5 della l.r. n.9/2015 sono stati fissati con l’accordo
sindacale stipulato dall’ARAN Sicilia con le OO.SS. rappresentative
il 3.8.2015.
In particolare, all’art. 3 del citato accordo è stato pattuito che
“i dipendenti che matureranno i requisiti soggettivi nel periodo dal
01/01/2016 al 31/12/2020 potranno formalizzare la revoca ed
inefficacia della domanda di collocamento in quiescenza anticipato,
con apposita comunicazione da inoltrare all’amministrazione entro il
termine perentorio di 45 giorni prima della data di maturazione dei
requisiti”.
La suddetta disposizione, che costituisce l’unica eccezione al
principio generale secondo cui il recesso nei rapporti di lavoro
pubblico privatizzato è atto unilaterale recettizio che produce i
suoi effetti al momento del suo ricevimento da parte
dell’Amministrazione pubblica senza necessità di alcuna
accettazione, trova la sua giustificazione nell’ampiezza del periodo
temporale che intercorre tra la presentazione dell’istanza di
collocamento in quiescenza nei termini decadenziali di cui alla
norma citata e la data di effettiva maturazione del diritto alla
quiescenza.
Proprio per l’ampio arco temporale che può intercorrere tra la
presentazione dell’istanza ed il collocamento in quiescenza è stata
introdotta, come disposizione eccezionale, la possibilità di un
ripensamento limitatamente ai dipendenti che matureranno i requisiti
per il pensionamento nel corso del quinquennio 2016/2020.
Le disposizioni sopra richiamate non sono ovviamente applicabili ai
soggetti già in possesso dei requisiti al momento dell’entrata in
vigore della l.r. n.9/2015 o che comunque li abbiano maturati entro
il 31.12.2015. |
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Corte Costituzionale, sentenza 6 maggio 2016 n. 95
Il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle
ferie non godute non opera qualora il lavoratore non abbia potuto
goderne per malattia o per altra causa a lui non imputabile. Secondo
la Consulta l’art. 5, c. 8, d.lgs. 95/2012, il quale vieta che si
possano corrispondere trattamenti economici sostitutivi di ferie,
riposi e permessi non goduti, si prefigge di reprimere il ricorso
incontrollato alla loro monetizzazione. Stante la ratio sottesa, la
previsione deve essere letta come non preclusiva del diritto del
dipendente di fruire dell’indennità per le ferie non godute per
causa a lui non imputabile.
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Corte di Cassazione - Sezione
Lavoro - Sentenza n. 9217 del 6/5/2016
Legge 104/1992 – utilizzo solo parziale delle ore concesse - abuso
del diritto – legittimità del licenziamento
Gli Ermellini si pronunciano nuovamente – dopo la sentenza n.
5574/2016 precedentemente segnalata - sulla legge n. 104/1992,
ribadendo che se il dipendente utilizza solo parzialmente i permessi
per assistere la persona bisognosa, utilizzando poi il tempo
rimanente per scopi personali, commette un abuso del diritto che
mina la fiducia del datore di lavoro e giustifica il licenziamento.
La sentenza riguarda un lavoratore privato ma i principi stabiliti
dai giudici sono applicabili anche ai dipendenti pubblici.
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Corte di Cassazione - Sezione
Lavoro - Sentenza n. 2648 del 10/2/2016
Licenziamento disciplinare - contestazione dell’addebito - deve
essere specifica
Nell’accogliere il ricorso di un lavoratore licenziato i giudici
ricordano che, secondo un orientamento ormai consolidato della
Corte: “…in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori
subordinati, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di
consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve,
conseguentemente, rivestire il carattere della connessa specificità
ancorché senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché
siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali
per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti
addebitati, rispettando i principi di correttezza e garanzia del
contraddittorio.”
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Corte di cassazione, sentenza 2
maggio 2016 n. 8604
L’Inps è responsabile delle conseguenze pregiudizievoli derivanti
dall’erronea comunicazione della situazione del contribuente,
quand’anche la comunicazione non abbia valore certificativo.
Secondo la S.C. la P.A. è tenuta, anche per il tramite delle
clausole generali di correttezza e buona fede e dei principi di
imparzialità e di buon andamento, a non frustrare la fiducia di
soggetti titolari di interessi indisponibili, fornendo informazioni
errate o approssimative. Nel caso di specie il lavoratore aveva
ritenuto attendibili le informazioni in quanto provenienti dal
soggetto pubblico cui è demandata la fondamentale funzione di
assicurare la realizzazione della tutela previdenziale ed
assistenziale. La violazione dei richiamati principi espone la P.A.
alla responsabilità per danno da inadempimento, salva la verifica
dell’eventuale concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c.
(v. anche Cass. 26952/2008, cfr. Cass. 7683/2010).
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Corte di cassazione, sentenza 5
maggio 2016 n. 9051
Violato il principio di immediatezza quando le condotte vengono
contestate a sei mesi/un anno di distanza senza che vi siano ragioni
legate alla complessità delle indagini.
La S.C. conferma la non legittimità di un licenziamento per
violazione del principio di immediatezza quando la contestazione è
mossa al dipendente a distanza di sei mesi/un anno dall'evento.
L'utilizzo di un sistema di controllo a campione, che permette di
confrontare le autodichiarazioni dei dipendenti relative
all'espletamento delle prestazioni accessorie con i dati registrati
attraverso i tornelli d'ingresso, non giustifica una tale distanza
temporale, stante l'assenza di necessità di indagini complesse e
risultando irrilevante l'eventuale articolazione dell'organizzazione
aziendale. Il principio di immediatezza è posto a tutela del
dipendente e in particolare del diritto di difesa, della certezza
delle situazioni giuridiche, dell’affidamento alla tolleranza
datoriale (v. anche Cass. 14155/2006, Cass. 12141/2003, Cass.
14074/2002). Rileva anche sul piano meramente oggettivo e, pur
trattandosi di una garanzia di tipo procedurale per il lavoratore,
conforma per la parte datoriale un elemento costitutivo del potere
di recesso.
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Corte dei Conti
Sezione Centrale controllo di legittimità atti del Governo
deliberazione n. 7/2016
Dirigenza Pubblica - Illegittimo il reitero di un incarico
dirigenziale per un periodo di tempo oltre i limiti di
ragionevolezza senza avere attivato procedure comparative di
selezione (art. 19,comma 1.bis d.lgs 165/2001)
I giudici contabili relativamente al rinnovo senza limiti di un
incarico dirigenziale di seconda fascia, posto in essere da una
amministrazione centrale, ribadiscono che l’istituto del rinnovo ha
carattere di straordinarietà ed in quanto tale non può che essere
soggetto a limiti temporali (dell. nn.24 e 25 /2014), in quanto
l’articolo 19, comma 1 bis, del d.lgs 165/2001, prevede procedure di
valutazione comparativa degli aspiranti che rispondono oltre che ad
un interesse dei singoli candidati, anche a quello di assicurare la
trasparenza e la neutralità nell’assegnazione delle funzioni, che
tuttavia può risultare recessivo rispetto a peculiari esigenze di
funzionamento che esigono la permanenza nell’incarico del dirigente
già assegnato in precedenza ma tali esigenze devono essere ostensive
nel provvedimento di conferma mediante adeguata motivazione e
soggiacere alle prescrizioni imposte oltre che dalla normativa
vigente anche dal Ccnl sulla dirigenza. Inoltre, anche la recente
legge 124/2015 (legge Madia) tra i principi e i criteri direttivi
dettati, con riferimento alla durata degli incarichi prevede il
periodo di non superiore a quattro anni con possibilità di rinnovo
per ulteriori due, senza procedura selettiva per una sola volta,
purché sorretta da motivazione.
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Tribunale di Torino, 28 aprile 2016
Hanno diritto alla retribuzione precedente alla cessione, stabilito
dall’art. 2112 c.c., anche i dipendenti pubblici riassunti dal
Comune per effetto di una convezione stipulata all’epoca della
esternalizzazione del servizio cui erano addetti.
Nel caso in esame, alcuni dipendenti comunali, che a suo tempo erano
stati ceduti a un consorzio privato per lo svolgimento di attività
di formazione, avevano ottenuto la riammissione alle dipendenze del
comune a seguito del fallimento del suddetto consorzio. Lamentano
però l’applicazione di un CCNL diverso da quello precedente, con
retribuzione inferiore. Il giudice riconosce il loro diritto a
ottenere la differenza tra quanto percepito e quanto stabilito dal
CCNL precedente (a titolo di superminimo) sulla base della
convenzione stipulata tra l’ente pubblico e il consorzio privato,
convenzione che faceva espresso riferimento all’art. 2112 c.c. Tale
rinvio alla disciplina del trasferimento d’azienda non può limitarsi
all’obbligo di far proseguire il rapporto dei lavoratori, ma deve
comprendere anche il divieto di peggioramento della retribuzione.
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Tribunale di Firenze, 20 aprile
2016
Una pronuncia esemplare in materia di molestie sessuali sul lavoro:
riconosciuti il danno biologico e il danno non patrimoniale da
discriminazione alla lavoratrice.
Nel caso in esame, una lavoratrice si era dimessa per giusta causa
in seguito a episodi continui di molestie sessuali subite da parte
del padre della rappresentante legale dell’azienda presso cui
lavorava, e culminati in un tentativo di aggressione. Il giudice,
dopo aver accertato i fatti, riconosce la violazione dell’obbligo di
protezione ex art. 2087 c.c., per assenza di misure di prevenzione,
consistita nell’atteggiamento di connivenza verso il soggetto
responsabile delle molestie, così come la natura discriminatoria
delle gravi condotte subite. Viene dunque ordinato il pagamento del
risarcimento del danno biologico (per inabilità temporanea e
permanente), e del danno non patrimoniale da discriminazione in
ragione del sesso (la cui quantificazione considera sia la finalità
di ristoro sia la finalità dissuasiva), nonché dell’indennità
sostitutiva del preavviso per effetto della giusta causa di
dimissioni.
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MINISTERO DEL LAVORO E DELLE
POLITICHE SOCIALI - Interpello n. 20/2016
Articolo 9 del D.Lgs. n. 124/2004 – coincidenza delle ferie
programmate con permessi per assistenza al congiunto disabile.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con l’interpello
n. 20/2016, rispondendo a una istanza avanzata dalla CGIL sulla
corretta applicazione dell’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992,
ha chiarito che in caso di coincidenza tra ferie programmate con i
permessi per assistenza al congiunto ex art. 33, comma 3 della legge
n. 104/1992, deve “trovare applicazione il principio della
prevalenza delle improcrastinabili esigenze di assistenza e di
tutela del diritto del disabile” sulle esigenze aziendali e che,
pertanto, il datore di lavoro non può negare la fruizione dei
permessi di cui all’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 durante
il periodo di ferie già programmate, ferma restando la possibilità
per il datore di lavoro, di verificare l’effettiva indifferibilità
dell’assistenza.
Vai al documentoANAC
Orientamento n. 24 del 21 ottobre 2015
Le prescrizioni ed i divieti contenuti nell’art. 53, comma 16-ter,
del d.lgs. 165/2001, che fissa la regola del c.d. pantouflage,
trovano applicazione non solo ai dipendenti che esercitano i poteri
autoritativi e negoziali per conto della PA, ma anche ai dipendenti
che - pur non esercitando concretamente ed effettivamente tali
poteri - sono tuttavia competenti ad elaborare atti
endoprocedimentali obbligatori (pareri, certificazioni, perizie) che
incidono in maniera determinante sul contenuto del provvedimento
finale, ancorché redatto e sottoscritto dal funzionario competente.
Delibera n. 209 del 2 marzo 2016 - Trasparenza ed anticorruzione
– Conflitto di interessi
Nella delibera n. 209 del 2/3/2016 il Presidente dell’Autorità
nazionale anti corruzione ha ribadito che: “qualora sussista un
conflitto di interessi anche solo potenziale, l’obbligo di
astensione dei pubblici dipendenti di cui all’art. 6 bis della l.
241/1990, costituisce una regola di carattere generale e non ammette
deroghe ed eccezioni”.
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