ottobre 2017 Newsletter dell'Aran Sicilia
 

24/10/2017

  Legislazione
Decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147
G.U. 13 ottobre 2017, n. 240
Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà
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  Giurisprudenza

Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - Ordinanza n. 17016/2017
Pubblico impiego – restrizione della libertà personale - sospensione dal servizio e dallo stipendio ex art. 27 commi 1 e 3 CCNL Comparto Regioni ed Autonomie locali 2002-2005 – successivo licenziamento per giusta causa – legittimità

Il lavoratore ricorre contro il suo licenziamento contestando l’interpretazione data dalla Corte territoriale all’art. 25 commi 1 e 3 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie locali 2002-2005. Il Collegio rigetta il ricorso con le seguenti argomentazioni: “sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 20321/2016, con la quale (con riferimento a normativa espressa con identica formulazione) si è statuito che il provvedimento di sospensione cautelare obbligatoria è necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale del dipendente (e non è riconducibile ad un comportamento volontario ed unilateralmente assunto dal datore di lavoro pubblico) e deriva dal principio generale secondo cui, quando il prestatore non adempie all'obbligazione principale della prestazione lavorativa non per colpa del datore di lavoro, a questi non può essere fatto carico dell'adempimento dell'obbligazione di corresponsione della retribuzione; inoltre, questa Corte ha affermato che «il datore di lavoro, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, può ulteriormente prolungare il periodo di sospensione dal servizio del dipendente in presenza di fatti, oggetto dell'accertamento penale, che siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro o, comunque, tali da comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che nei confronti di quest'ultimo sia stato, o meno, emesso un provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale, dovendosi ritenere che il riferimento, contenuto nella disposizione, alle "medesime condizioni di cui al comma 2" del medesimo art. 27, comma 3 (del c.c.n.l. comparto Ministeri 16.5.1995, dello stesso tenore dell'art. 27, comma 3, del c.c.n.l. di cui in oggetto) non si estenda, quale necessario presupposto, al provvedimento di rinvio a giudizio, ma resti circoscritto alle specifiche condizioni attinenti alla natura dei fatti addebitati, tali da comportare la sanzione disciplinare del licenziamento, tanto più che, diversamente, si finirebbe per assicurare un trattamento più favorevole ai dipendenti nei cui confronti siano contestati fatti criminosi di maggiore complessità, e per il cui accertamento si rendano necessari tempi più lunghi, idonei ad incidere sul rinvio a giudizio» (Cass. n. 12560/2014; da ultimo, Cass. n. 20544/2016)”.
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Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza n. 22925/2017
Legge 104: la Cassazione riscrive il rapporto tra il diritto ai permessi e il part-time
Il criterio che può ragionevolmente desumersi dalle disposizioni, è quello di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all'adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del rapporto part time verticale.
Pertanto, in coerenza con tale criterio e valutate le opposte esigenze, per i giudici è necessario distinguere l'ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell'anno.
Solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l'esigenza di effettività di tutela del disabile, va riconosciuto il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto.
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Corte di Cassazione - Ordinanza n. 19106/2017
Pubblico impiego – sospensione cautelare del dipendente a seguito di rinvio a giudizio - sentenza definitiva di prescrizione - non attivazione della procedura disciplinare – superamento del quinquennio di sospensione – risarcimento – principio di diritto
Un dipendente dell’Agenzia delle entrate era stato sospeso cautelarmente in quanto rinviato a giudizio con l’imputazione di corruzione; in seguito era poi intervenuta sentenza definitiva di proscioglimento per prescrizione. Dopo l’emanazione del provvedimento l’Amministrazione non provvedeva alla attivazione del procedimento disciplinare in quanto il lavoratore era già stato collocato a riposo. Successivamente il dipendente ha richiesto all’Amministrazione il pagamento delle retribuzioni non integralmente percepite negli anni della sospensione cautelare. Avverso la sentenza della Corte territoriale che, confermando la sentenza del giudice di prime cure condannava l’Amministrazione al pagamento della somma richiesta, propone ricorso l’Agenzia delle Entrate. Gli Ermellini respingono il ricorso e ricordano, in primis, come ormai vi sia reciproca autonomia tra il potere di sospensione cautelare e quello disciplinare e che, poiché l’Amministrazione non ha attivato il procedimento, è venuta meno anche la legittimità della sospensione cautelare disposta in funzione dell’illecito, oggetto di proscioglimento per la sentenza penale definitiva. Aggiungono poi i giudici che l’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/20101, ha disposto che nell’ipotesi di dimissioni del dipendente, il procedimento ha egualmente corso e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Inoltre la Suprema Corte ha già in precedenza stabilito il seguente principio di diritto: “in caso di proscioglimento diverso dalle ipotesi assolutorie piene e di condanna, il datore deciderà, anche alla luce dell’esito del processo penale, se avviare o riprendere l’iniziativa disciplinare nei termini di decadenza stabiliti dalla legge, al fine di valutare autonomamente l’incidenza dei fatti accertati sulla permanenza del rapporto di lavoro, regolando conseguentemente anche le sorti definitive della sospensione cautelare”.
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Corte di Cassazione - Sezione Lavoro  - Ordinanza n. 20409/2017
Licenziamento illegittimo – reintegra nel posto di lavoro del dipendente – condanna del datore al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento alla sentenza – indennità sostitutiva del preavviso – non spetta
Al lavoratore, reintegrato nel posto di lavoro a seguito di sentenza del giudice, il quale condanna il datore anche al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento fino alla sentenza, non spetta l’indennità sostitutiva del preavviso. Il caso riguarda un lavoratore privato, ma il principio si applica anche nel lavoro pubblico.
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  Varie
ANAC
Linee guida n. 7, di attuazione del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 recanti «Linee Guida per l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016, aggiornate al D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con deliberazione del Consiglio n . 951 del 20 settembre 2017
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Il mercato del lavoro italiano nell'ultimo triennio: quel che si è fatto e quel che resta da fare
Slides utilizzate per la relazione introduttiva all’incontro con le Camere di Commercio britannica, francese, svizzera e tedesca in Italia, promosso da GiGroup a Milano, 16 ottobre 2017
Relazione introduttiva di Pietro Ichino e  collaborazione di Filippo Teoldi
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Comunicato del 19 ottobre 2017 del Dipartimento Regionale della Funzione Pubblica
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Permesso di lavoro retribuito per curare il cane: la prima volta in Italia
Grazie al supporto tecnico-giuridico offerto dalla Lav, un'università romana ha riconosciuto il diritto di una dipendente a 2 giorni di permesso retribuito per curare il proprio cane.
La non cura di un animale di proprietà integra, infatti, secondo la Giurisprudenza, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal Codice penale. Non solo ma vige il reato di abbandono di animale, come previsto dalla prima parte dell’articolo 727 del Codice penale.
E’ evidente quindi che non poter prestare, far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili all’animale, come in questo caso, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora vive da sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane.